Pearl Jam: i sopravvissuti del grunge tra caos ed equilibrio

Scritto da il Novembre 11, 2022

Il titolo potrebbe essere fuorviante, almeno in parte. Eddie Vedder e soci non sono mai stati dirty and filthy, ovvero sia sporchi e sudici.

Anche dal punto di vista musicale sono da subito sembrati più affini all’hard rock che al punk.

Ciò nonostante il grunge ha fatto parte di loro attraverso le inclinazioni di un paio di membri (il bassista Jeff Ament e il chitarrista Stone Gossard, già componenti dei Green River) e le tematiche di alcuni tra i testi più significativi del repertorio.

Per questo è inevitabile considerarli pietra angolare del genere e, a conti fatti, gli unici ad aver attraversato indenni o quasi gli ultimi 30 anni.

DEMONI PERSONALI TENUTI A BADA

Una foto dei Pearl Jam al completo

Una foto dei Pearl Jam al completo

Va da sé che molto più di Layne Staley degli Alice in Chains, Kurt Cobain dei Nirvana e Chris Cornell dei Soundgarden, Eddie Vedder sia stato in grado di convivere con i propri demoni sino, forse, a chiuderli a doppia mandata in qualche cantina della mente.

Banale sottolinearlo, eppure fondamentale.

Lui, come ogni altro essere umano che ci sia riuscito attraversando le avversità dell’esistenza, merita uno sguardo attento.

Vedder e i Pearl Jam hanno sublimato attraverso la musica il dolore, il disagio di un’America buia, quella dei primi anni Novanta.

Disperazione, disillusione e solitudine hanno avuto invece un effetto devastante sugli esponenti del grunge citati in precedenza.

Tutti provenivano dall’area dello Stato di Washington, in particolare Seattle.

Eppure anche Stone Gossard e Dave Krusen (primo batterista della band) arrivano da lì. Allora qual è il segreto di un certo tipo di sopravvivenza, se ne esiste uno?

TRA CASO, CAOS ED EQUILIBRIO

Dettaglio di un vinile dei Pearl Jam

Dettaglio di un vinile dei Pearl Jam

Forse il segreto non è un segreto, in definitiva.

Può darsi sia solo essere capaci di dare il giusto nome, il giusto peso alle cose che ti circondano e accadono.

Per esempio, tanto Eddie Vedder quanto ogni altro componente del gruppo ha, nel tempo e sin da subito, ridotto al minimo l’impatto delle lusinghe del settore.

Secondo la rivista Rolling Stone, i Pearl Jam hanno passato buona parte degli anni Novanta a tenere lontana la propria fama.

Maturità precoce, capacità di guardarsi intorno e giudicare con lucidità cosa stava accadendo ai colleghi?

Istinto che permette di scorgere il corrimano della scala, pur tra nebbie varie e caos? Quindi l’attitudine a decidere di salire anziché scendere, aggrappandosi forte?

Evitare le sirene della vita facile e a portata di mano, delle droghe, degli abusi?

Forza di volontà e unità di intenti all’interno della band?

Certamente un mix di tutto questo. Forse anche una dose di buona sorte che non guasta.

Di solito è ingrediente prezioso.

NON SOLO PEARL JAM

La copertina di Into the Wild, O.S.T. dell'omonimo film

La copertina di Into the Wild, O.S.T. dell’omonimo film

La sopravvivenza non può che passare dall’assecondare la propria natura.

Nel caso degli artisti è natura creativa e non è mai buona prassi soffocarla.

All’interno di un team si viaggia talvolta con il vento a favore, ma in certe occasioni è inevitabile gestire la bonaccia in arrivo con qualche compromesso. Magari doloroso.

Capita in tutti i gruppi di lavoro, presto o tardi. Figurarsi quando si parla di ego giganteschi che coesistono in una rock band.

Vedasi ciò che è successo negli anni agli equilibri interni di grandi nomi come Guns N’ Roses o Metallica. Non fanno eccezione i Pearl Jam, che momenti difficili ne hanno visti, vissuti e superati. Ma come?

Può darsi anche grazie ai progetti paralleli, utilissimi a dare sfogo alla creatività senza compromessi, senza avere intorno le facce di tutti i giorni.

Viene subito in mente la colonna sonora di Into the wild, firmata da Vedder, giusto?

Per dare un’idea, il brano Guaranteed ha trionfato nelle radio di tutto il mondo e ai Golden Globe del 2008.

La storia del pluripremiato film di Sean Penn narra il percorso esistenziale di Chris McCandless: vi consigliamo sia il libro che la pellicola.

Lì dentro c’è tutto quel che serve per capire come un orizzonte aperto, lontano dai meccanismi della società occidentale (Milano compresa), possa essere tanto liberatorio quanto letale.

In particolari circostanze, però, vale la pena rischiare per trovare gli spazi adatti a se stessi.

Spazi preziosi che allontanano per unire.

Per sopravvivere, guardare indietro e dire: siamo ancora qui.

Eddie Vedder e i suoi sodali ce l’hanno fatta, al contrario di Chris.

Buona sorte e volontà gli sono state amiche. Ingredienti davvero preziosi.


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