Da Elvis agli Stones: quando il produttore arraffa e scappa

Scritto da il Febbraio 23, 2023

Oggi il nostro viaggio ci porta nel complesso mondo dei produttori musicali.

Un ginepraio di storie che per ragioni di spazio-tempo non riusciremo ad affrontare tanto quanto vorremmo.

Cercheremo di fissare i punti cardinali, almeno di quei loschi o presunti loschi figuri che in nome dell’arraffa e scappa hanno sottratto alle tasche di artisti di rilievo internazionale montagne di dollari.

Dollari quasi tutti stampati tra gli anni ’50 e ’70: perché si sa che lì si faceva la storia della musica, che lì si facevano anche i soldi veri.

Partiamo dagli albori del rock, partiamo dal colonnello Parker, il manager del Re. Quindi partiamo da Elvis.

Il Colonnello in missione per conto del Re (e per sé)

Il colonnello Parker insieme a Elvis Presley

Il colonnello Parker insieme a Elvis Presley

Nel bio pic di Baz Luhrmann dedicato a Elvis Presley, la figura del controverso e discusso colonnello Parker è interpretata da un gigantesco – come sempre – Tom Hanks.

Ambiguo, attaccato al denaro, padre padrone: chi era veramente Parker? Su di lui sono stati scritti un paio di libri interessanti, come quelli di James Dickerson, giornalista, e Todd Slaughter, presidente del fan club ufficiale di Elvis in Gran Bretagna.

Tom Parker, con la gestione della carriera di Presley, riscrisse le regole del ruolo del manager nell’industria dell’intrattenimento.

Pur prendendo un compenso molto superiore al tradizionale 10% delle entrate, arrivando anche al 50% verso la fine della vita di Presley, contribuì fortemente alla crescita di Elvis, impegnandosi anima e corpo per interessi reciproci.

Lo stesso Presley diceva di Parker: «Non penso che sarei diventato così grande con un altro manager».

Tuttavia il Colonnello, per ripagare i suoi debiti di gioco, finì per confinare Presley in un albergo di Las Vegas, alimentando in questo modo l’autodistruzione del Re.

Ma, tra l’altro, Parker era davvero Colonnello? Non proprio: solo per titolo onorario ricevuto dallo Stato della Louisiana, poiché dall’esercito era stato congedato come disertore.

Non si chiamava nemmeno Parker: era olandese di nascita, l’inequivocabile Andreas Cornelis Dries van Kuijk.

Un personaggio, insomma, portato per natura a vivere tra le pieghe dell’ambiguità.

Se volete approfondire, vi consigliamo la lettura degli autori citati.

Allen Klein tra Beatles e Stones

Il discusso e discutibile Allen Klein

Il discusso e discutibile Allen Klein (sin.)

Passiamo dal dollaro alla sterlina, ma la sostanza cambia poco.

Dopo gli Stati Uniti, si salpa in direzione del Vecchio Mondo, approdando al porto di Liverpool, dove ad attenderci c’è un incazzatissimo Paul McCartney.

Incazzato per via della coperta fin troppo calda di tutti quegli archi sparsi nel disco Let it be.

Ma incazzato anche per tutto il denaro sottratto da Allen Klein, manager che prima fregò i Rolling Stones e poi riuscì nell’impresa di farcela anche con i Fab Four, nonostante Jagger avesse avvisato abbastanza in tempo John Lennon.

Allen Klein, per McCartney, è di fatto e soprattutto il massacratore dell’ultimo album dei Beatles, appunto Let it be: con quella storia degli archi ovunque, siamo certi che a Paul la questione pecuniaria importasse meno.

In fondo, con un patrimonio non quantificabile perché troppo vasto, ciò che più importa è l’aspetto artistico. O no?

Klein fu manager, tra gli altri, anche di Sam Cooke, e la precoce e violenta fine del cantante di colore getta – almeno per qualcuno – un’ombra inquietante sullo stesso impresario.

Leggenda a parte, restano le cause legali, le inchieste fiscali governative, il pelo sullo stomaco e l’opportunismo di un personaggio che avrebbe forse fatto impallidire anche il colonnello Parker.

Il riciclaggio di Zaentz

Saul Zaentz

Saul Zaentz

Altra storia piuttosto famosa e quasi al limite del credibile, è quella dello Zorro malvagio del cinema e della musica, una sorta di volpe senza gatto che riuscì ad abbindolare John Fogerty, leader dei Creedence Clearwater Revival: Saul Zaentz, impresario della Fantasy, passato a miglior vita poco meno di dieci anni fa.

Questi fece firmare a Fogerty un contratto capestro, con cessione e controllo completi di tutto il repertorio.

La parte quasi al limite del credibile arriva ora: forse non tutti sanno che con il maltolto pecuniario a Fogerty, Zaentz ha prodotto splendidi film, il che dimostra che essere furbi e scaltri uomini d’affari non significa peccare di mancanza di gusto.

Pellicole come Qualcuno volò sul nido del cuculo e Amadeus, entrambi di Milos Forman, oppure Il paziente inglese di Anthony Minghella (tutti lungometraggi premiati con l’Oscar), sono capolavori finanziati di fatto dai Creedence.

Solo dopo la morte di Zaentz, Fogerty è riuscito a recuperare la titolarità dei diritti, ma nemmeno un quarto di dollaro…

La mosca bianca degli Zeppelin

Peter Grant insieme a Robert Plant e John Paul Jones

Peter Grant insieme a Robert Plant e John Paul Jones

E poi ci sono anche le mosche bianche, quei personaggi davvero onesti che hanno il senso di appartenenza, della famiglia (ma non in stile corleonese).

Peter Grant, una sorta di Bud Spencer nato sotto il Big Ben e morto troppo presto, era così.

Fu manager degli Yardbirds, di Eric Clapton e dei Led Zeppelin.

Di questi ultimi fu definito anche “il quinto”, li difendeva distribuendo ceffoni e legnate a fotografi, opportunisti e giornalisti improvvisati come fosse piedone lo sbirro.

La stazza c’era: quasi due metri per 150 chili dovevano dissuadere anche il più scaltro truffatore.

Chris Welch tratteggia questo peso massimo degli angeli custodi nella biografia The Man Who Led Zeppelin, libro bellissimo che vi invitiamo a leggere.

Tra gli episodi più celebri che lo riguardano c’è l’aggressione a un ufficiale canadese durante un concerto. L’agente era tra la folla con un microfono per misurare il valore effettivo dei decibel.

D’un tratto fu agguantato e trascinato di peso nel backstage, ma non per autografi e foto: Grant lo aveva scambiato per un pirata discografico, di quelli che come noi, oggi, registrano tutto durante i live.

Solo che al tempo non era un fatto tollerato, per usare un eufemismo.

Il “lo chiamavano buldozzer dei roadies” sollevò microfono e macchinario sfasciandolo successivamente sulla testa del malcapitato poliziotto.

Famosa fu anche un’apparizione in tv e radio nella quale, dando fuoco ad alcuni bootlegs, i nastri pirata di un tempo, minacciò i registi amatoriali dissuadendoli dal ripetere l’operazione durante i concerti degli Zeppelin.

Un personaggio d’altra levatura, Peter Grant.

Forse sarebbe utilissimo al giorno d’oggi, con una punta di diplomazia in più, anche in qualche club di Milano.

 

 

 

 


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