Shinedown: in viaggio tra mostri e redenzione rock

Scritto da il Maggio 3, 2023

Spoiler alert: questo è un viaggio immaginario. O forse no.

Ouverture: l’incontro

Lo skyline di Jacksonville, Florida

Lo skyline di Jacksonville, Florida

Oggi ho noleggiato a caro prezzo una GT Shelby 500 del 1967: la Eleanor di Fuori in 60 secondi, per farvi un’idea.

Ho percorso la Statale 10 attraverso la Contea di Baker, tra prefabbricati e pick-up color bianco memoria appannata, in direzione Jacksonville, Florida. Quindi Stati Uniti.

Qui, nella città che prende il nome dal settimo Presidente americano, 6000 anni fa si stanziarono i Timucua, una tribù di nativi cacciati senza tante cerimonie dagli spagnoli.

Poi sono arrivati gli inglesi, con un pizzico di ugonottismo francese tanto per gradire.

Insomma, una gestazione complessa quella di Jacksonville.
Se la guardaste dall’alto, vedreste tante cicatrici d’acqua a solcarne il volto.

Una in particolare, il fiume Saint Johns, sembra un drago.

E quando arrivi a fare a braccio di ferro con l’Atlantico settentrionale, speri di avere uno zio alle Bahamas che ti inviti per Natale nel suo resort, tra palme e vecchi abbronzati.

Uno zio così non ce l’ho, quindi resto qui sotto un chiostro moderno e anonimo che s’affaccia su una lingua di blu incastrata tra due ponti, sotto un cielo plumbeo.

Saranno le palme o altri vecchi abbronzati alle mie spalle, ma la sensazione è di essere in una Miami a cui non piacciono né trucco né parrucco.

Sotto il chiostro non sono solo, c’è un altro uomo.

Più o meno ha la mia età, ma sembra molto più giovane di me, anche se negli occhi pare avere almeno 100 vite vissute.

Lo riconosco proprio da questo, dalla durezza dello sguardo. Mi avvicino, apro bocca: «Non ti manca il Tennessee?»

Brent Smith, il frontman voce degli Shinedown, non fa una piega, scruta ancora il fiume davanti a sé rispondendo: «I morti non muoiono mai, per questo non mi manca Knoxville.»

Primo atto: mostri e seconde occasioni

La formazione degli Shinedown

La formazione degli Shinedown

Brent non ha avuto una vita facile, ma chi l’ha avuta mi chiedo.

Dice che lo ha salvato il fatto di essere diventato padre, prima era un groviglio di mostri che nel buio diventavano giganti e al sole avevano il profilo della dipendenza da stupefacenti o cibo.

Quella telefonata, la voce della sua compagna che gli dice “aspettiamo un bambino”, ha cambiato il corso della partita.

Ci scrisse anche un pezzo, If You Only Knew, la prima canzone d’amore degli Shinedown.

I mostri, però, non muoiono mai al primo colpo, nossignore.

Ci vuole costanza, ci vuole talento. In quanto a questo, beh, Brent ne ha a pacchi.

Una voce come la sua non si trova sotto i sassi. Lui dice di non avere mai preso lezioni di canto e la sua faccia di marmo non permette di capire se sia possibile andare a vedere un eventuale bluff.

Poco importa, chi lo ha visto e sentito dal vivo sa che la cosa non sposterebbe l’ago della bilancia; se non per i puristi, magari.
A ogni modo siamo qui per fare scorta di rock, gli dico.

Dopo aver preso un respiro che fa rima con scorte d’altro genere, tipo pazienza distillata in ore di lavoro straordinario festivo non pagato, mi squadra: «Sai, a me le etichette non piacciono.»

«Neanche a me», ribatto, «ma tu come la chiami una sintesi che da un lato, per forza, assorbe umidità e fumi alcolici del southern rock e dall’altro scava cercando di scendere a patti con l’hard rock moderno?»

«La chiamo seconda occasione.»

Secondo atto: il concerto mancato e lo switch Alterbridge

Brent Smith

Brent Smith

Il cielo sembra aprirsi un po’, Brent seppure di malavoglia apparente, mi chiede se lo voglio seguire. Mi dice: «Serve la macchina, prendiamo la tua.»

Ha visto la chiave che faccio roteare da un paio di minuti sull’indice della mano sinistra, e capisco due cose: che Brent di macchine sa parecchio e che il quarto di sorriso spuntato sulla sua faccia mi dice che avevo ragione.

La malavoglia era apparente. La GT Shelby del ’67 è invece reale e lui la vuole guidare.

Quando gira la chiave nel quadro e il colpo di tosse del motore 390 ci dà il benvenuto, il mondo di Brent cambia colore.

Mentre usciamo dalla città e percorriamo strade a me sconosciute, lui si apre come il cielo sopra di noi.

Mi racconta aneddoti dell’infanzia, i progetti della band, il rimpianto del concerto saltato a Milano a novembre dell’anno scorso.

Gli dico che dovevo esserci anche io, mi dà una rapida occhiata di traverso e mi chiede: «Ma sei riuscito almeno ad andare a vedere Myles Kennedy

Alzo un sopracciglio, apre una risata che pare dar gas più della Mustang e tutto diventa facile.

I mostri sono sempre reali, forse però con questa macchina possiamo seminarne un po’.

Pensavo mi portasse al mare, invece ci siamo fermati al Gate Gas Station, a Vedra Beach, a sud ovest della città.

Il profumo del mare si sente, ma lui dice di preferire quello di Jane, la cameriera della tavola calda che fa parte della stazione di servizio.

Mentre Brent va in bagno, finisco di spiegarvi cosa è successo l’autunno passato, con il concerto degli Shinedown che non c’è stato.

Il 18 novembre del 2022 dovevano esibirsi al Fabrique, vicino all’aeroporto privato di Linate, ma Brent e i suoi hanno cancellato il tour europeo.

Motivo? Costi troppo alti, logistici e non solo. Quindi per chi ne avesse avuto piacere e voglia, il biglietto del mancato concerto poteva essere riutilizzato per gli Alter Bridge di Myles Kennedy esattamente una settimana dopo al Forum.

Terzo atto: if Atlas falls

Siamo ancora seduti qui alla tavola calda, Brent è a suo agio, davvero.

Tanto che mi chiama dude.

Prova descrivermi che cosa rappresenta per lui la musica, quanto ormai sia dipendente dai concerti dal vivo e quanto soffra quando saltano.

Gli si legge in faccia che la sua non è vendita un tot al chilo quando dice al suo pubblico: «We are here because of everyone of you tonight.» («Questa sera siamo qui grazie a ognuno di voi»).

Credo che in questo vecchio ragazzo del 1978 non possa attecchire nessuna forma di bugia.

Resistenze e reticenze, forse tante. Ma menzogne proprio no.

Trasuda umanità genuina, d’altra parte non avrebbe potuto scrivere una canzone come Atlas Falls se non fosse così.

Vorrei chiedergli come ha vissuto la pandemia, perché quella canzone ci è nata dentro per ragioni benefiche legate alla Direct Relief, associazione in prima linea nella lotta al Covid-19. Ma Brent sta scambiando due battute con Jane e non voglio intromettermi.

Finale: fuori dal sogno

Euforia da concerto rock

Euforia da concerto rock

Passato, presente; ieri, domani.

E poi notte e giorno, giorno o notte. Tutto si mescola, tutto diventa possibile appoggiati a questo pontile, su questi gradini umidi di Florida e gonfi di salsedine.

Qui, adesso, è già l’una di notte, il mare gorgheggia a pochi passi.

È spuntata una chitarra, c’è un fuoco, qualche amico di Brent.

È ora di tornare. Sia per me che per lui.

Il tempo è finito, così come il viaggio. E poi devo restituire la Mustang.

Mi rigiro ancora un po’ le chiavi tra le dita, dopo averle strappate a fatica dalle mani del cantante degli Shinedown.

E mi accorgo di due cose: le chiavi sono quelle di una Sandero, la mia auto. E le mani sono sempre state le mie.

Vero o no che sia stato questo viaggio, non vi ho ancora detto una cosa di Brent.

Vi dedica Simple Man, di cuore.

In realtà questa non è una loro canzone, la versione originale è dei Lynard Skynard, ma in tanti pensano che quella degli Shinedown sia meglio.

Tutti sono certi che averla registrata abbia contribuito a rendere la band di Brent un po’ più famosa.

Di sicuro questa canzone ha cambiato la vita a me, il giorno che l’ho sentita suonare la prima volta, davanti al mare, in un tramonto di qualche anno fa.


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